A cura di Massimiliano Samsa
Viaggio in Italia… (terza ed ultima puntata)
Franz Schubert (1797 – 1828) – Ouverture in do maggiore “im italienischen Stile”, op. 170, D. 591
Adagio (do maggiore). Allegro
Prima esecuzione: Vienna, Redoutensaal del Burgtheater, 1 marzo 1818
Staatskapelle Dresden
Wolfgang Sawallisch, direttore
Anche Schubert, come tanti compositori di formazione e di educazione tedesca suoi contemporanei, non seppe sottrarsi al fascino della musica di Gioacchino Rossini che aveva invaso le scene dei teatri viennesi nel clima di restaurazione post-napoleonica. Si sa che il primo incontro dell’arte rossiniana con il pubblico viennese avvenne alla fine di novembre del 1816, con la rappresentazione dell’opera in un atto L’inganno felice. Soltanto un mese più tardi, il 27 dicembre, fu rappresentato nell’originale italiano il Tancredi (in tedesco il 12 marzo 1818); il 15 febbraio del 1817 toccò all’Italiana in Algeri (in tedesco nel gennaio del 1821); venne quindi in giugno il turno di Ciro in Babilonia, seguito nel settembre del 1818 da Elisabetta d’Inghilterra; della fine di settembre del 1819 è la versione tedesca del Barbiere di Siviglia, che sarebbe stato presentato in italiano nell’aprile del 1823. Nel marzo del 1820 apparve infine a Vienna Il turco in Italia, che contribuì notevolmente a creare quell’atmosfera di vera e propria infatuazione per il geniale operista pesarese.
Non mancarono naturalmente tra i maggiori compositori tedeschi del tempo (è nota la polemica nazionalistica di Weber) discussioni e critiche più o meno malevole e caustiche sul valore e sui meriti della musica rossiniana, che rifletteva «lo spirito frivolo e sensuale dell’anima italiana»; ma Schubert rimase estraneo a questa ondata sciovinistica e si interessò vivamente al linguaggio musicale così caratteristico e brillante di Rossini, del quale ascoltò prima il Tancredi e successivamente nel maggio del 1819 l’Otello, da lui ritenuto migliore della precedente opera per l’originalità dell’orchestrazione e della scrittura vocale. Anzi, come segno di ammirazione per Rossini egli scrisse nel novembre del 1817 due Ouvertures per orchestra, in re maggiore e in do maggiore, che il fratello del compositore, Ferdinand, soprannominò «nello stile italiano», perché racchiudevano quella freschezza melodica e quella verve ritmica che erano e restano tipiche della musica rossiniana.
Lontano da qualsiasi intendimento parodistico e dissacratorio, queste due Ouvertures sono un esempio quanto mai piacevole e gradevole di imitazione dello stile rossiniano, a cominciare dal contrasto netto e perentorio fra l’Adagio e l’Allegro per finire con il crescendo in fortissimo. L’Ouverture in do maggiore si apre con un tema grave elaborato con varietà di modulazioni dagli strumentini; viene poi un tempo vivacemente ritmico e punteggiato da una cordiale spigliatezza alla maniera di Rossini.
Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Schubert/Schubert-Ouverture591.html
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Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893) – Capriccio italiano in la maggiore, op. 45
- Andante un poco rubato. Pochissimo più mosso. Allegro moderato (la maggiore). Andante. Allegro moderato. Presto (la maggiore)
Prima esecuzione: Mosca, Società Musicale Russa, 18 dicembre 1880
Dedica: Karl Juliovic Davydov
New York Philharmonic
Leonard Bernstein, direttore
La fine del suo matrimonio con Antonina Ivanovna Miljakova e il profondo rapporto che nacque con la ricca vedova Nadezda von Meck, segnarono in maniera decisiva la vita artistica di Pètr Il’ic Cajkovskij. La rendita annua che la von Meck garantì al compositore gli permise di abbandonare la cattedra al Conservatorio, di dedicarsi a tempo pieno alla composizione nell’ultimo quindicennio della sua vita, di viaggiare molto anche all’estero, mietendo ovunque grandi successi.
Il 1880, che il compositore trascorse tra Mosca, Pietroburgo, Parigi e Roma, e per il resto ospite in residenze di campagna, si rivelò un anno particolarmente prolifico: nacquero infatti pagine orchestrali destinate a diventare assai popolari, come la Serenata per archi op. 48, l’Ouverture 1812 e il Secondo Concerto per pianoforte e orchestra.
Il 16 gennaio di quell’anno Cajkovskij cominciò anche a comporre – a Roma dove risiedeva in quel periodo – la partitura del Capriccio italiano op. 45, che poi completò a San Pietroburgo il 27 maggio, con dedica al compositore Karl Jul’evic’ Davydov. L’idea di trarre ispirazione da musiche popolari italiane gli era venuta dopo avere assistito ai festeggiamenti per il carnevale proprio tra le vie di Roma. Ne parlò in alcune lettere alla von Meck: «Stiamo assistendo all’acme del carnevale […]. Naturalmente il carattere di questa festa è determinato dal clima e dalle antiche usanze […]. Se si osserva bene il pubblico che si accalca in modo così selvaggio sul Corso, ci si convince che l’allegria di questa folla, per quanto possa assumere aspetti davvero singolari, in fondo è sincera e naturale. Non ha bisogno né di grappa né di vino, si inebria con l’aria del posto, con questa carezzevole calura».
Inizialmente Cajkovskij aveva pensato di scrivere qualcosa di simile ai lavori di Glinka ispirati alla Spagna, cioè alle due Ouvertures intitolate Caprìccio brillante sulla Jota Aragonese e Ricordo di una notte estiva a Madrid (in una lettera a Taneev del gennaio del 1880 scriveva infatti che doveva essere una «Suite italiana su melodie popolari, sul modello delle fantasie spagnole di Glinka»). Non a caso la libera giustapposizione di motivi diversi, la successione di episodi collegati da parentele timbriche e ritmiche più che tematiche, sembra ricalcare la libera successione dei temi popolari che caratterizza Ricordo di Glinka.
Cajkovskij abbozzò l’intera composizione in meno di una settimana, utilizzando alcuni canti che aveva ascoltato personalmente per le strade di Roma, altri presi da alcune antologie, e mirando non tanto all’elaborazione tematica quanto alla ricerca dell’effetto, alla massima brillantezza della scrittura orchestrale, come scrisse alla von Meck in una lettera del 12 maggio 1880: «Non so che valore musicale possa avere quest’opera, ma sono già da ora convinto che avrà una bella sonorità, che l’orchestra sarà brillante e piena di effetto». La progressione degli strati di colore, di movimento e di tempo, la sapiente orchestrazione, che sfrutta gli ottoni al completo e un nutrito set di percussioni, permettono a Cajkovskij di ottenere una partitura luminosa e vitale, piena di atmosfera, di verve, come un vorticoso girotondo. Ma senza grandi pretese. Alla sua prima esecuzione (che ebbe luogo a Mosca il 18 dicembre 1880, sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein) il Capriccio italiano fu infatti criticato per una certa superficialità, e come esempio negativo di occidentalizzazione e di cosmopolitismo, in un periodo in cui la Russia stava riscoprendo con orgoglio il valore artistico delle proprie radici musicali.
Il lavoro si apre con un richiamo delle due trombe (Andante un poco rubato), un segnale militare usato dai soldati della cavalleria italiana che Cajkovskij – secondo la testimonianza di suo fratello Modest – aveva udito provenire da una caserma vicina alla sua abitazione romana. Dopo le fanfare degli ottoni si leva negli archi, all’unisono, una melodia dal carattere mesto, che ha l’incedere di una marcia funebre punteggiata dagli accordi ribattuti dei fiati. Lo stesso tema è poi ripreso dai legni in forma imitativa, e accelerato, su un tappeto di tremoli degli archi. Le due parti seguenti (Pochissimo più mosso e Allegro moderato) si basano su canzoni popolari, molto orecchiabili e piene di humour. la prima è un temine semplice e pimpante (in 6/8), “molto dolce, espressivo”, affidato ai due oboi che si muovono per terze parallele sul pizzicato di violoncelli e contrabbassi (questo motivo viene ripetuto da vari strumenti, variato, accompagnato da una girandola di disegni e controvoci, fino a espandersi su tutta l’orchestra, in un vero e proprio sfoggio di virtuosismo timbrico); la seconda è uno stornello romanesco (in 4/4), pieno di slancio, accompagnato dagli accordi ribattuti degli archi (come una cavalcata), esposto prima da violini e flauto, poi ribadito dalla cornetta a pistoni, con una frase intermedia, leggera e danzante, punteggiata dal tamburello. Raggiunto il suo culmine, questa esplosione di gioia sonora lascia poi spazio alla ripresa dell’Andante, col suo triste melodizzare.
Ma poi la festa riprende: un’incalzante concatenazione di terzine dà avvio a una trascinante tarantella di archi e legni (Presto) – e non poteva mancare in una pagina dedicata all’Italia! Poi una ripresa della prima canzone popolare (ma in una diversa tonalità e con i valori dilatati su un tempo di 3/4) cantata a squarciagola da tutta l’orchestra (“fff largamentissimo”, Allegro moderato). E alla fine ancora gli echi della tarantella che innescano l’ultimo grande crescendo, culminante in un Prestissimo impetuoso, pirotecnico, un vero tripudio di colori orchestrali.
Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Cajkovskij/Cajkovskij-Capriccio45.html
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Richard Strauss (1864 – 1949) – Aus Italien (Dall’Italia), fantasia sinfonica in sol maggiore, op. 16
- Nella campagna romana – Andante (sol maggiore)
- Tra le rovine di Roma: quadri fantastici, di uno splendore scomparso; sentimenti tristi e dolorosi nel paesaggio assolato – Allegro molto e con brio (do maggiore)
- Sulla spiaggia di Sorrento – Andantino (la maggiore)
- Vita popolare a Napoli – Allegro molto (sol maggiore)
Berliner Philharmoniker
Riccardo Muti, direttore
Prima esecuzione: Francoforte, Saalbau, 3 Marzo 1899
Dedica: Willem Mengelberg ed i Concertgebouw-Orchester di Amsterdam
Questa “fantasia sinfonica” (significativo il richiamo alla Sinfonia fantastica di Berlioz) composta nel 1886, segna il passaggio del giovane Strauss dalle forme classiche alle ambizioni descrittive della musica “a programma”. Se qui non si ha ancora l’abbandono delle strutture tradizionali, si avverte però il dichiarato intento di riferirne lo svolgimento a precisi temi extramusicali, legati alle impressioni di un recente soggiorno italiano o comunque a quell’immagine pittoresca di un’Italia mediterranea (ma anche suggestiva per rovine e paesaggi agresti) già cara al romanticismo e illustrata in musica da Berlioz e Mendelssohn. Al di là delle pitture sonore chiaramente, espresse dai titoli, Aus Italien si afferma come pagina notevolissima, oltre che di gande importanza nella storia del sinfonismo di Strauss, per la qualità del tessuto orchestrale, già ricco di colori e capace di autentico virtuosismo, nonché per il personalissimo linguaggio che viene ad animare, armonicamente e ritmicamente, una maniera ormai solo in parte riconducibile allo stile di Brahms o agli altri influssi della giovinezza del compositore.”Pur rimanendo in molte cose ancora estraneo alla sicurezza e alla originalità formale e di linguaggio che di qui a poco espoderanno nel Don Juan e negli altri grandi poemi sinfonici, Aus Italien segna una prima importante affermazione della personalità di Strauss. È quasi l’atto di nascita della sua vicenda più autentica, benché qui la fantasia trovi ancora sbocchi un po’ ingenui, cedendo a qualche tentazione folcloristica, come l’impiego nell’ultimo tempo, dell’allora recente ma già celeberrimo Funiculì-Funiculà simbolo immediato di latina gaiezza.
La fantasia Aus Italien fu eseguita per la prima volta a Monaco il 2 marzo 1887 sotto la direzione dell’autore.
Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Strauss/Strauss-Italia.html