I Notturni di Ameria Radio del 4 gennaio 2021

A cura di Massimiliano Samsa

César Franck (1822 – 1890) – Le chasseur maudit

Poema sinfonico per orchestra da una ballata di G. Burger

1.  Andantino quasi allegretto

2.  Poco più animato

3.  Molto lento

4.  Più animato

5.  Allegro molto quasi presto

Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 31 marzo 1883

Philadelphia Orchestra

Riccardo Muti, direttore

L’eredità franckiana andò divisa tra gli allievi, essendone toccata buona parte a d’Indy, nella rinascita di una certa spiritualità francese che ebbe nella Schola cantorum il centro dove il culto era reso soprattutto al Franck sacro di Rédemption e delle Béatitudes; al punto che il figlio del compositore sentì il dovere di precisare, nel 1901 e cioè undici anni dopo la morte del padre, che l’immagine pia dell’organista di Sainte-Clotilde non rappresentava interamente la personalità di Franck, e che si lasciavano in ombra le composizioni profane e strumentali di un musicista il quale «s’était rendu maìtre de toutes les formes de la composition». Gli ultimi settantanni hanno dato ragione più al figlio che agli allievi, poiché di Franck sono restate in circolazione proprio le opere strumentali e cameristiche, anche se resiste da un lato l’opinione di chi vuol vedere nel maestro un analogo di Bruckner, forse suggestionato dall’analogia fra il quadro di Rougier e la silhouette di Böhler in cui i due musicisti appaiono assisi ai rispettivi organi della chiesa parigina e del convento austriaco, e se d’altro lato è svanita la funzione alternativa a Wagner che la critica francese amava attribuire a Franck.

Le chasseur maudit fu composto nel 1882, ed ebbe origine dalla curiosa abitudine di Franck, che sottoponeva al consiglio degli allievi la sua produzione; se Vincent d’Indy era il consigliere per le composizioni orchestrali, Duparc e d’Indy insieme fornirono al maestro l’indicazione letteraria, a cui è ispirato il poema sinfonico, con i loro poemi sinfonici, rispettivamente Lénore del 1875 e La forèt enchantée del 1878, in cui si faceva espresso riferimento alle ballate di Bürger e di Uhland. Appunto dal Cacciatore feroce di Bürger, Franck trasse il soggetto del poema sinfonico sul modello di Liszt, musicista con il quale ebbe un rapporto di credito e di debito non sufficientemente esplorato. Ma, per quanto riguarda questa composizione franckiana, nulla di meglio delle considerazioni di Debussy: «Chez C. Franck, c’est une dévotion constante a la musique, et c’est a prendre ou a laisser: mille puissance au monde ne pouvait lui commander d’interrompre une période qu’il croit juste et nécessaire; si longue soit-elle, il faut en passer par là».

Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Franck/Franck-Chasseur44.html

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Claude Debussy (1862 – 1918) – La mer, tre schizzi sinfonici per orchestra, L 111

  1. De l’aube à midi sur la mer – Très lent (si minore)
  2. Jeux de vagues – Allegro (do diesis minore)
  3. Dialogue du vent et de la mer – Animé et tumultueux (do diesis minore)
  4. Prima esecuzione: Parigi, Concerts Lamoureux, 15 Ottobre 1905

Cleveland Orchestra

Vladimir Ashkenazy, direttore

La mobilità, l’istantaneità, la novità del tempo musicale della Mer esigerebbero un’analisi non riassumibile in poche indicazioni. Il titolo De l’aube à midi sur la mer fa pensare a uno svolgimento ininterrotto a un procedere caratterizzato da una continua propulsione, attraverso il succedersi, sovrapporsi, addensarsi di motivi che si coagulano in più ampie strutture, stabiliscono un mobilissimo gioco di rapporti. Nell’arcana sezione introduttiva prendono forma gradualmente piccole cellule, per prima quel ritmo breve-lunga che già creava un senso di apertura spaziale in Sirènes. Emerge un lento disegno (corno inglese e trombe), un tema ciclico che si ritroverà nel terzo tempo; poi l’andamento si fa più animato, la nebulosa incertezza sembra dissolversi e si approda a una nuova sezione: su un accompagnamento «ondeggiante» degli archi si profila il celebre tema dei flauti e dei clarinetti subito seguito da un altro importante disegno dei corni. Nel libero fluire del pezzo, dopo l’introduzione, si possono riconoscere due sezioni (che chiameremo A e B) seguite da una coda. Nella mobilissima struttura della sezione A, oltre al tema principale già citato, altri elementi entrano in gioco: un arabesco dei flauti, un mesto disegno degli oboi limitato a tre note e sovrapposto a un canto del primo violino solo. La sezione A approda a un culmine di luminosità e complessità di sovrapposizioni ritmiche, poi si spegne. Un nuovo tema presentato da sedici violoncelli divisi apre la sezione B determinando un mutamento di clima espressivo. È l’elemento predominante fino al ritorno del tema «ciclico» apparso nell’introduzione. Un episodio statico stabilisce il collegamento con la coda conclusiva, aperta da un nuovo, solenne tema: essa approda a una luminosa perorazione, che esplode inattesa.

Di concezione anche più radicalmente nuova è la forma di Jeux de vagues. Il titolo fa pensare a un significato musicale, alla massima frantumazione, a una mobilità priva di direzione: l’articolazione fluida e polverizzata è fondata sul nascere di un’invenzione sull’altra, sul loro intersecarsi e accumularsi che non offre all’ascoltatore neppure i punti di riferimento ancora in qualche modo presenti nella struttura del primo schizzo sinfonico. Il pezzo si presta a essere analizzato in modi diversi: qui ci limiteremo a qualche schematica indicazione, individuando le idee principali che si incontrano nel fluire mobilissimo, cangiante, dai profili spesso sfuggenti. L’inizio dell’introduzione elude ogni presenza tematica, ogni materiale dai ben definiti contorni. Solo poi si profila un disegno del corno inglese, un semplice frammento di scala ascendente che si dilata in arabeschi. Finita l’introduzione, appare luminoso e lieve il primo tema, che inizia con trilli dei violini. Un secondo tema dal profilo più cantabile è presentato dal corno inglese su un ritmo danzante, quasi di bolero. Nuove idee caratterizzano la sezione successiva, poi si ha una sorta di ripresa variata della seconda parte dell’introduzione, uno sviluppo del secondo tema, e quindi sviluppi in cui entrano in gioco diversi elementi di breve respiro per approdare a un momento culminante, quasi una luminosa iridescente visione, che si dissolve e a cui segue il ritorno del primo tema. Inattesa si profila quindi una nuova idea in tempo di valzer, seguita da sviluppi che conducono a un altro punto culminante. Nella coda i temi sembrano dissolversi in un clima sospeso (anche la tonalità è incerta); di grande trasparenza la conclusione.

Un principio formale è annunciato nel titolo Dialogue du vent et de la mer: più che un semplice dialogo il pezzo propone il contrasto, la sovrapposizione, lo sviluppo parallelo di materiali diversi, non di due temi, ma di opposti campi di forza, in una mobilità di situazioni che conoscono anche momenti di parossismo drammatico. Di queste forze contrastanti la prima presenta una timbrica rude, violenta, configurandosi come un «movimento caotico» (Barraqué) dai ritmi frantumati; la seconda ricerca una sottolineata cantabilità di vasto respiro. L’originalità della concezione dell’ultimo tempo non impedisce di riconoscervi a grandi linee la disposizione formale di un rondò; da notare anche i collegamenti tematici con il primo tempo. Il tema «ciclico» appare nell’introduzione e diventa uno dei protagonisti del pezzo, dove il celebre tema principale, che ritorna come il refrain di un rondò, si caratterizza per un’intensa ampiezza di respiro. Il tema ciclico riappare invece nel corso del primo «episodio» del rondò, una pagina che conosce momenti di cupa concitazione. Ritorna il refrain in triplice presentazione; anche nel secondo episodio fra i materiali c’è il tema ciclico, che conosce nuovi sviluppi e trasformazioni ritmiche. Al terzo refrain segue una coda, che si chiude in un secco «fortissimo» e che propone, fra l’altro, nuove elaborazioni del tema «ciclico».

Paolo Petazzi

Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Debussy/Debussy-Mer.html

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Ottorino Respighi (1879 – 1936) – Pini di Roma, P 141      Poema sinfonico

  1. I pini di villa Borghese – Allegretto vivace. Vivace
  2. I pini presso una catacomba – Lento
  3. I pini del Gianicolo – Lento
  4. I pini della Via Appia – Tempo di marcia

Prima esecuzione: Roma, Augusteo, 14 dicembre 1924

Orchestra sinfonica di Torino della RAI

Sergiu Celibidache, direttore

I pini di Villa Borghese

“Giuocano i bimbi nella pineta di Villa Borghese: ballano a giro tondo, fingono marce soldatesche e battaglie, s’inebriano di strilli come rondini a sera, e sciamano via”.

Tutto il brano affidato ad una coloratissima orchestra, è un intrecciarsi di girotondi e di infantili fanfare militaresche. Dopo la rapida introduzione compare il tema principale (Oh quante belle figlie Madama Dorè) affidato al corno inglese, ai fagotti ed ai corni. Un improvviso cambio di ritmo caratterizza il secondo motivo che flauti, ottavino e pianoforte cantano su uno sfondo costituito dai trilli degli archi. Con il ritorno all’andamento iniziale ricompare il tema principale questa volta affidato agli oboi ed ai clarinetti. La parte successiva costruita sulla melodia di un nuovo girotondo sfocia in una fanfara di trombe. La successiva ricomparsa del girotondo viene ripresa ed intrecciata con squilli di marce, dall’intera orchestra che successivamente si avvia verso l’ultimo vorticoso crescendo.

Pini presso una catacomba

“Improvvisamente la scena si tramuta ed ecco l’ombra dei pini che coronano l’ingresso di una catacomba: sale dal profondo una salmodia accorata, si diffonde solenne come un inno e dilegua misteriosa”.

L’atmosfera diventa improvvisamente cupa e ci porta nei pressi di una catacomba. Dal profondo emerge sommessa la voce degli archi intercalata da un mesto cantabile dei corni e dai rintocchi gravi di una campana quasi a ricordarci la memoria di antichi martiri. Una tromba sola in controcanto con i violini rischiara l’ambiente con un inno mariano. Dal profondo si leva una salmodia affidata a clarinetti, corni e violoncelli che si trasforma gradualmente con l’entrata degli altri strumenti in un maestoso ed austero crescendo. Dopo il rapido spegnersi della salmodia una coda ci riporta alla cupa atmosfera iniziale.

I pini del Gianicolo

“Trascorre nell’aria un fremito: nel plenilunio sereno si profilano i pini del Gianicolo. Un usignolo canta”.

Il gocciolio dell’acqua dalla fontana introduce il brano con gli arpeggi del pianoforte mentre il clarinetto espone un tema sognante nel plenilunio che sovrasta i pini del Gianicolo. Gli archi che riprendono questo tema sono interrotti dalla celesta che ripropone il gocciolio della fontana. L’oboe presenta un nuovo tema che viene ripreso da un violoncello solo e sviluppato poi dagli archi con un ampio crescendo. Gli arpeggi del pianoforte, dell’arpa e della celesta ci ripropongono ancora una volta il gocciolio dell’acqua e ci portano verso la sezione conclusiva quando il clarinetto prepara il canto dell’usignolo che si perde fra i rami dei pini.

I pini della via Appia

“Alba nebbiosa sulla via Appia. La campagna tragica è vigilata da pini solitari. Indistinto, incessante, il ritmo di un passo innumerevole. Alla fantasia del poeta appare una visione di antiche glorie: squillano le buccine ed un esercito consolare irrompe, nel fulgore del nuovo sole, verso la via Sacra, per ascendere al trionfo del Campidoglio”.

Il ritmo del passo di marcia dell’esercito consolare è scandito da timpani, pianoforte, violoncelli e contrabbassi. I corni ci presentano frammenti di fanfare mentre i clarinetti introducono quello che sarà il tema conduttore di tutto il brano. Il corno inglese si inserisce con una melodia esotica, quasi una danza orientale, prima che i corni diano avvio al poderoso amplissimo crescendo cui si uniscono progressivamente tutti gli altri strumenti per preparare la sfarzosa conclusione. Da notare l’impiego di sei flicorni che sono uno strumento tipicamente bandistico poco usato in orchestra.

Terenzio Sacchi Lodispoto

Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Respighi/Respighi-Pini.html