P. Mascagni – Iris – Trama e Libretto

Iris – soprano 

Il Cieco – basso 

Osaka –  tenore 

Kyoto – baritono 

Geisha – soprano 

Un merciaiolo – tenore 

Un cenciaiolo – tenore 

Coro: negozianti, lavandaie, geishe, samurai, cittadini

CAST prima rappresentazione

Iris soprano Hariclea Darclée

Il Cieco basso Giuseppe Tisci Rubini

Osaka tenore Fernando De Lucia

Kyoto bariton  Guglielmo Caruson

Geisha soprano Ernestina Tilde Milanesi

Un merciaiolo tenore Eugenio Grossi

Un cenciaiolo tenore Piero Schiavazzi

TRAMA

ATTO PRIMO
Addio cielo fatto di onde piene di raggi di luna e di misteri !
La Notte abbandona il cielo ; il suo lavoro vivificatore è finito ; uomini e cose hanno riposato e sognato ; essa cede il governo della vita al Giorno. Come in un gran velario di nebbie, tutto inonda una tinta diafana e indecisa ; è la incertezza del primo raggio, ma gradatamente poi, ecco, i primi albori che si diffondono rispecchiandosi in scintille adamantine entro a le rugiade sui fiori, sulle erbe ! Nel piccolo giardino di Iris, i fiori, come curiosi bimbi, levano i visi dalle chiomate corolle e guardano ad oriente. La casetta di Iris è ancora chiusa dentro alle sue stuoie colorate e ai suoi battenti di quercia. Il villagio, dietro quella grigia macchia di alti, pallidi bambou, eleva ancora indecisi nella penombra i suoi bizzarri tetti ; e il ruscello che lo divide dalla piccola casa di Iris mormora la sua cadenza senza scopo, mesta o gaia secondo che la luce, che scende e vi penetra, effonde nelle sue acque il riso o la lagrima de cielo. E l’aria si riempie di fulgori ! E l’aria passa tra rami e fronde, tra fiori ed erbe, tra piante e case, e palpita ! O Luce, anima del Mondo ! Leggiere brume erranti fuggono ai venti ; e al di là, lontano, lontano, nelle immensità profonde dell’azzurro, immobili come un gran mare calmo, già balenano rapidi splendori, echi di luce, vibrazioni misteriose d’altri infiniti mondi esultanti alla vita ! Or discendono i raggi ; pallidi prima, poi rosei, caldi, vivi… è il Giorno ! L’aurora trionfa, le cose si disegnano rapide ! Ecco la scena : La allegra casetta di Iris ; il suo giardino colla piccola siepe di biancospine in fiore ; nettamente ora spiccano i pallidi e sottili bambou nel risalto del villaggio ; il ruscello canta gaio ed azzurro il ritornello che gli viene dalla canzone serena ed azzurra del cielo ; e laggiù, là, nell’estremo fondo, il Fousiyama, alto come la brama degli umani anelanti alla gran pace del silenzio ! Il Fousiyama ! Ultimo appare egli, fantastica visione ; ma sull’alta sua cervice, immacolata per eternità di neve, reca esso pel primo, alla vallea dove vive Iris, il riflesso del primo raggio del Sole.

ATTO SECONDO Dov’è ora l’umile casetta tua così modesta e semplice colle sue stuoie colorate e i battenti di quercia, o piccola Iris ? La bianca siepe di biancospine fiorite ? Il sentiero coverto dal fiore delle scabbiose che conduce al rio ? Dov’è la pace dei campi intorno e il silenzio ristoratore come il riposo della tua vallea entro all’ampia circolare distesa di monti e, in alto, la solenne maestà del Fousiyama ? Dove l’aria purissima ? Dove la luce libera ? Tu ora giaci nel cuore affannoso della città gaudente ove più accelerato batte il palpito delle esistenze nelle diverse febbri che agitano le genti, quella della gloria, quella del piacere, quella del denaro. La più appariscente delle Case Verdi è ora la tua abitazione ; tu vi riposi sul rialzo di lacca ed oro di un fton ricchissimo, abbandonata la fragile persona alla stanchezza che ti ha affranto, e ti covre un velario trasparente come aria ! Tu sei nel Yoshiwara ! Qui, nella dolcissima ora del drago, non verrà il Sole a dissipare i piccoli sogni paurosi della tua infantile fantasia ! qui, nella misteriosa ora del cignale, non la luna scenderà a posarsi con te ! Qui, ricche stuoie a tessiture fantasiose impediscono alla luce di penetrarvi. No, il Sole non penetra nelle Case Verdi ! Qui tutto è riflesso di metallo che scoppia a vivi e rapidi sfavilli dalle profumiere cesellate dove brucia esalando l’olio di camelia odorosa, dai vasi smaltati, dalle grandi chimere e mostri di smalto e cobalto che adornano la stanza. Là, in un angolo, un bouddah ride, i piccoli occhi sfuggenti la enorme epa floscia giù a sfascio sul loto simbolico che gli fa da piedestallo. Non la luce, non l’armonia del Sole ! Solo, su dalla tumultuante via, per le stuoie che la dimenticanza delle kamouro ha lasciato semiaperte, entra l’affannoso moto della vita cittadina, le strida dei merciaioli, le minaccie dei samouraïs, le ansanti cadenze dei djin, i diversi idiomi dei dragomanni, la bestemmia e la risata. Presso al tuo letto, come spettri, stanno ancora le guèchas. (Una guècha accosciata sussura un “Anakomitasani” accompagnandosi al suono del sàmisen.)

ATTO TERZO
​O bel Genio nipponico, bello e antico Genio delle poesie, leggende, paurosi drammi, grottesche commedie e ute dolcissime agli amori che animano i silenzii delle sere… Bello e antico Genio dei fiori e dei pittori, non dunque gaiezza di colori vivaci, non bianchi chiarori di lune o distese di prati verdi correnti ai declivii di azzurri monti rispecchiati da laghi candidi, non trionfi di cieli e stormi di migranti uccelli, o mari d’argento ed agili saettii di awabis, intorno alla agonia di Iris ? Sul delicato corpo, capolavoro distrutto, giù nell’abisso incombono solo le tre sinistre notti, la notte senza stelle del cielo, la notte senza riflessi delle acque morte, la notte senza lacrime della insensibilità della natura. Così qui muore la vergine, il picciol corpo abbandonato all’abbraccio della bomhêria velenosa e della scirpa pungente. Di lassù non un riflesso di una delle mille gaie lumiere del Yoshiwara ! Nell’aria greve e letale pur tuttavia vagano incerte ombre strane. Bella e antica fantasia nipponica, sono essi forse gli Èni del tuo mondo superstizioso che scendono radendo gli squallidi fianchi della squallida montagna, i tuoi grotteschi, bonarii o perversi folletti dalle facce sinistramente buffone ? È Benkei a cavallo della sua gran campana di bronzo ? È Kintoki abbracciato ad un orso che ride ? È Momotaro gobbo e sbilenco ? O sono forse gli Incubi in forma di granchi o nani dall’orribile rictus quelle strane ombre ? In verità rassembrano fantastiche creationi, così la penombra caliginosa li trasfigura ! No ; non sono gli enti permalosi e ad ora bonaccioni delle tue fole infantili, bello e antico Genio nipponico ; sono dei cenciaioli, quaggiù sospinti dalla lotta per la esistenza ! Colle loro lanternuzze, bizzarre umane lucciole della Vita cittadina, errano, l’uncino acuto a mano, guardando, desiderando, sognando i più pazzi tesori del mondo, giù in questo fango di cose morte.