A cura di Massimiliano Samsa
G. F. Handel (1685 – 1759) – Concerto grosso in si bemolle maggiore, op. 3 n. 2, HWV 313
1 . Vivace (si bemolle maggiore)
2. Largo (sol minore)
3. Allegro (si bemolle maggiore)
4. Menuet (si bemolle maggiore)
5. Gavotte (si bemolle maggiore)
Academy of St. Martin in the Fields
Sir Neville Marriner, direttore
Al contrario di Bach, questo Haendel strumentale appare proteso a quell’immediatezza spettacolare, a quel vibrante plasticismo che sembra vivere del respiro del pubblico e delle sue reazioni emotive e che trova la sua sede specifica nel teatro e nei grandi affreschi oratoriali. Pubblicati nel 1734 al culmine della carriera operistica di Haendel a Londra, i sei Concerti grossi op. 3, come del resto la rimanente produzione haendeliana di genere strumentale, offrono all’analisi morfologica una curiosa commistione di arcaismi corelliani, già scomparsi nella coeva e precedente produzione degl’Italiani (fatta forse eccezione per il serioso e old fashioned Benedetto Marcello) e di civetterie mondane e teatraleggianti. Da ciò quella relativa “durezza” di dettato rilevabile soprattutto negli stacchi polifonici, dove lo straordinario rilievo di un’invenzione motivica improntata ad una comunicatività squisitamente teatrale entra in attrito con procedimenti arcaicizzanti, e dove il segno vigoroso e sommario del grande affrescatore prevale su quello meditato e attento al particolare del pittore da cavalletto.
Ne risulta un procedere compositivo di getto, mirante al colpo d’occhio dell’insieme e all'”effetto” nel senso più squisitamente barocco del termine: con simulati gesti improvvisatori, come il gusto toccatistico e preludiante che caratterizza l’esordio dei violini di concertino, nel “Vivace” di quest’op. 3 n. 2, o la sprezzatura di quelle terzine degli oboi, che, nello stesso movimento, intervengono verso la fine a modificarne bruscamente l’andamento ritmico. Svagatezza preludiante impronta altresì l’intervento dei due violoncelli soli (quanti colori, e bizzarramente distribuiti, offre il quadro sonoro del concerto grosso haendeliano, pur limitato ai soli archi e a una coppia di oboi e a un fagotto!) nel “Largo”, dominato dalla sensuale melodia, anzi, cavatina dell’oboe solo. A molcere la spigolosità contrappuntistica dell'”Allegro” (dove evidente è il condizionamento a un tipo di polifonia “all’italiana”, dall’andamento rigido e stereotipato), sopravvengono i due movimenti conclusivi non esplicitamente, ma effettivamente ispirati a movimenti di danza, ricchi di fascino melodico e di lusinghe timbriche.
Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Handel/Handel-Concerto313.html
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G. F. Handel – Te Deum (Utrecht) per soli, coro e orchestra in re maggiore, HWV 278
Orchestra Netherlands Bach Society
Jos Van Veldhoven, direttore
Nicki Kennedy (soprano)
William Towers (contro tenore)
Julian Podger (tenore)
Wolfram Lattke (tenore)
Peter Harvey (basso)
I. O be joyful in the Lord, all ye lands
II. Serve the Lord with gladness
III. Be ye sure that the Lord he is God
IV. O go your way into his gates
V. For the Lord is gracious
VI. Glory be to the Father
VII. As it was in the beginning
Utrecht Te Deum e Jubilate è il nome comune di una composizione corale sacra in due parti, scritta da George Frideric Handel per celebrare il Trattato di Utrecht , che stabilì la pace di Utrecht nel 1713, ponendo fine alla guerra di successione spagnola. La prima esecuzione dell’opera vi fu il 13 luglio 1713 in una celebrazione liturgica nella cattedrale di St. Paul a Londra.
È ritenuta la prima commissione che la famiglia reale britannica fece ad Handel, anche se sembra che l’ Ode per il compleanno della regina Anna sia precedente, fu comunque la prima grande opera sacra su testi inglesi scritta da Handel, dalla quale ebbe inizio la sua grandissima fama in Inghilterra.
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G. F. Handel – Music for the Royal Fireworks (HWV 351)
1.Ouverture: Adagio, Allegro, Lentement, Allegro
2.Bourrée
3.La Paix: Largo alla siciliana
4.La Réjouissance: Allegro
5.Menuets I and II
Le Concert des Nations
Jordi Saval, direttore
Da quando nel 1710 entrò al servizio del principe elettore di Hannover, che quattro anni dopo salì sul trono inglese con il nome di Giorgio I, Haendel rimase strettamente legato all’ambiente della corte londinese, anche se i rapporti fra lui e il re raggiunsero a volte momenti difficili per il carattere forte e deciso di entrambi. Nel complesso gli Hannover mostrarono sempre stima e rispetto per Haendel il quale raggiunse il culmine della gloria sotto Giorgio II (1727 – 1760). Haendel non mancò di celebrare le glorie britanniche, coincidenti con quelle dinastiche, e già nel 1713 scrisse un possente Te Deum per la pace di Utrecht con la quale si era chiusa la guerra di successione spagnola a vantaggio dell’Inghilterra, e poi un Ode per il compleanno della regina Anna (Ode for the Birthday of Queen Anne) e vari pezzi per l’incoronazione di Giorgio II e per i matrimoni di diversi principi di sangue reale. Anche verso la fine della sua carriera Haendel fu impegnato a scrivere pezzi di occasione in onore della casa reale inglese, come ad esempio la Musica per i reali fuochi d’artifìcio, composta per festeggiare la conclusioni della guerra di successione austriaca a favore dell’Inghilterra. I festeggiamenti durarono parecchi giorni e Giorgio I ordinò spettacolari fuochi d’artificio per la sera del 27 aprile 1749. Nel grande parco di Londra l’orchestra prese posto nel mezzo di una splendida facciata di un castello in legno costruita da un famoso scenografo dell’epoca, il Servandoni. Le cronache di allora parlano di una magnifica esecuzione diretta da Haendel, il quale era un esperto di simili spettacoli all’aperto e più volte la sua Water Music (Musica sull’acqua) aveva accompagnato con un’orchestra su una barca le gite del panfilo reale sul Tamigi. Dato il carattere di musica all’aperto di un simile pezzo, i fiati e la percussione acquistavano maggiore rilevanza rispetto agli archi, nettamente esclusi in modo che le sonorità fossero più piene e fastose, come attesta sin dalle prime battute la Music for the royal Fireworks. L’Ouverture riflette quel senso di solennità e grandiosità dell’arte haendeliana e si impone per la sua quadratura armonica e ritmica, senza scadere in una vuota retorica accademica. Gli altri quattro brani sono tipiche danze francesi di corte in forma binaria. Due recano titoli programmatici: La Paix e La Réjouissance, ossia la pace e il giubilo, mentre il resto è contrassegnato da una misurata ed elegante Bourrée, da una serena Siciliana con suoni di trombe e corni, da un Allegro gioioso e festoso e da due ben cadenzati Minuetti di sicuro effetto che concludono degnamente questa suite, accolta in modo trionfale dai londinesi, che considerarono Haendel uno di loro e non un musicista tedesco.
Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Handel/Handel-Fireworks351.html