I Notturni di Ameria Radio del 26 gennaio 2021 musiche di Henry Purcell

A cura di Massimiliano Samsa

Henry Purcell (1659-1695) – Dido and Aeneas

Opera in tre atti di Henry Purcell, su libretto di Nahum Tate. L’Opera si ispira alle avventure di Enea (protagonista dell’Eneide di Virgilio) a Cartagine, Ospite della regina Didone.

Prima rappresentazione: 11 aprile del 1689 (data incerta)

Collegio di Josias Priest, Chelsea (Londra)

Dido: Bernarda Fink

Belinda: Sophie Karthäuser

Aneas: Gerald Finley

Zweite Frau: Elisabeth von Magnus

Zauberin: Wolfgang Holzmair

Erste Hexe: Elisabeth von Magnus

Zweite Hexe: Johanna Aschenbrenner

Seeman: James Taylor

Geist: Peter Kövari

Aneas: Gerald Finley

Concentus Musicus Wien

Arnold Schönberg Chor

Nikolaus Harnoncourt, direttore

Atto primo

L’ouverture, nella forma francese di un solenne Adagio cui segue uno spumeggiante tempo veloce, ci introduce nel palazzo reale di Cartagine. Belinda, confidente di Didone, intuisce il suo tormento, e cerca di distoglierla dai funesti presagi che la opprimono prospettandole un futuro raggiante (“Shake the cloud from off your brow”); il coro dilata e sostiene il suo stato d’animo (“Banish sorrow, banish care”). Ma Didone, nella bellissima aria in forma di ciaccona che chiude l’episodio, si tormenta e afferma di considerare la pace ormai estranea alla sua anima (“Ah Belinda, I am press’d with torment”). Nel recitativo seguente, Belinda la spinge a confidarsi, intuendo che l’ospite troiano è la causa della sua inquietudine. Confidando che l’alleanza permetterà a Troia di rinascere e porterà maggiore sicurezza a Cartagine, la sua voce si espande melodicamente fino a introdurre l’augurio del coro per un accresciuto benessere dei due popoli (“When monarchs unite, how happy their states”). Il successivo recitativo (“Whence could so much virtue spring”), nel quale Didone esprime tutta la sua ammirazione per Enea, riconoscendo in lui il valore di Anchise e il potere di seduzione di Venere, gradualmente si espande, coinvolgendo Belinda in un appassionato e lirico duetto. Belinda ammette che il racconto di Enea, così carico di sventure, avrebbe impietosito una pietra. Didone, anch’ella provata dall’esistenza, nutre compassione e simpatia per il dolore altrui. Il duetto culmina nel ritmo ternario e sincopato di danza ‘veloce e leggera’ affidata a Belinda, a una seconda donna e al coro, che incitano la regina ad abbandonarsi all’amore e a goderne tutta la dolcezza (“Fear no danger to ensue”). Nel successivo recitativo, sempre molto espressivo, Belinda, vedendo arrivare Enea (“See, your royal guest appears”), spinge Didone a manifestare il suo sentimento; ma ella teme il destino avverso. Il coro intreccia un fitto contrappunto polifonico sul tema del dolore amoroso, che può essere lenito solo da chi l’ha provocato (“Cupid only throws the dart”). Enea, nel recitativo seguente, implora l’amore di Didone, se non per la sua salvezza, almeno per quella del’impero (“If not for mine, for empire’s sake”). La linea vocale di Belinda sulle parole “Pursue thy conquest, Love, her eyes Confess the flame her tongue denies”) è seguita da un inno all’Amore intonato dal coro, che coinvolge la natura circostante e sfocia in un danza trionfale (“To the Hills and the vales, to the rocks and the mountains”), su ritmi puntati alla francese, alla fine della quale le indicazioni di scena prescrivono tuoni e lampi.

Atto secondo

In una caverna. Su un funereo e inquietante ritmo di marcia, si ode il preludio delle streghe; quindi la maga invoca le «malefiche sorelle» perché compiano il misfatto che «brucierà tutta Cartagine»: la regina, prima del tramonto, dovrà perdere gloria, vita e amore. Un elfo apparirà a Enea con le sembianze di Mercurio, messaggero di Giove e gli ordinerà di ripartire nella notte, con la flotta, alla ricerca degli italici lidi. Il coro intercala gli ordini della maga dando voce alle streghe, che prima si compiacciono del loro potere distruttivo e quindi si scatenano in due episodi in parossistico stile fugato, intessuto su grida evocatrici di pratiche di possessione diabolica; una strumentale danza delle Furie chiude la scena. In un boschetto. Un sereno e idilliaco ritornello strumentale introduce il canto di ammirazione di Belinda (“Thanks to these lonesome vales”), ripreso poi dal coro, rivolto al paesaggio nel quale si sta svolgendo la caccia, un luogo caro alla stessa Diana. Ma la voce della seconda donna (“Oft she visits this lone mountain”), evocando il drammatico episodio della morte di Atteone su un inquietante basso ostinato, introduce una nota di doloroso presagio, che si chiude su un altro ritornello strumentale. In un recitativo sempre più concitato, Enea e Didone avvertono segnali oscuri nell’aria, finché Belinda, sostenuta dal coro, incita tutti ad abbandonare la campagna (“Haste, haste, to Town”), avviando un lungo e articolato episodio polifonico cui partecipa anche il coro in un crescendo di densità contrappuntistica, che sottolinea l’inarrestabile incedere della furia degli eventi, naturali e sovrannaturali. Nel recitativo successivo, che gradualmente si anima, lo spirito mandato dalla maga appare a Enea, che si sottomette al suo volere pur lamentando la propria sorte (“But ah, what language can I try”), poiché «con più gioia morirebbe» piuttosto che abbandonare Didone.

Atto terzo

Al preludio seguono un coro e una danza dei marinai, che esultano per l’imminente partenza (“Come away, fellow sailors”). La scena successiva ci mostra la gioia delle streghe e della maga, che si scatenano in un’orgia di soddisfazione per il dolore che hanno provocato e che continueranno ad alimentare perseguitando Enea con un’altra tempesta quando si troverà in mare. Le due streghe cominciano con un veloce gioco polifonico (“Our plot has took”) che conduce a un momento di espansiva vocalità riservato alla maga (“Our next motion must be to storm her lover on the ocean”), per poi scatenarsi in una pagina corale (“Destruction’s our delight”) che, a sua volta, culmina nella strumentale danza delle streghe. Dopo che Didone ha confessato a Belinda la sua disperazione e la sua certezza di perdere Enea, il drammatico incontro con l’amato dà vita a un duetto intenso e carico di affanno (“What shall lost Aeneas do?”). Enea cerca di giustificarsi incolpando il destino, ma la regina lo accusa di viltà e ipocrisia; Enea giura allora che resterà, ma Didone lo scaccia, perché ormai si è dimostrato sleale. Il coro commenta la loro incapacità di comprendersi (“Great minds against themselves conspire, and shun the cure they most desire” ). Didone, nonostante il suo sdegnoso rifiuto, non può più vivere senza l’eroe troiano, e decide quindi di uccidersi. Chiede conforto tra le braccia di Belinda (“Thy hand, Belinda, darkness shades me”) ma, nel famoso lamento di addio (“When I am laid in earth”), implora l’amica affinché non si lasci tormentare dal ricordo dei suoi errori quando sarà morta. Una commovente partecipazione accompagna, su un basso di ciaccona – la cui tensione è accentuata da cromatismi e da un’asimmetrica configurazione in cinque misure –, l’invocazione (“Remember my”) di Didone. Nello struggente e insieme straniante coro conclusivo (“With drooping wings”) i Cupidi, apparsi tra le nuvole sopra la sua tomba, sono pregati di vegliare su di lei per sempre.

Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Purcell/Purcell-Dido626.html