A cura di Massimiliano Samsa
L. van Beethoven (1770-1827) – Sinfonia n. 6 in fa maggiore, op. 68 “Pastorale”
- Piacevoli sentimenti che si destano nell’uomo all’arrivo in campagna: Allegro ma non troppo
- Scena al ruscello: Andante molto mosso (si bemolle maggiore)
- Allegra riunione di campagnoli: Allegro
- Tuono e tempesta: Allegro (fa minore)
- Sentimenti di benevolenza e ringraziamento alla Divinità dopo la tempesta: Allegretto
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 22 Dicembre 1808
London Philarmonic Orchestra
James Loughran, direttore
Iniziata nell’estate del 1807 e portata a termine nel maggio 1808, la Sesta Sinfonia è dedicata al principe Lobkowitz e al conte Rasumowsky come la Quinta e, come questa, ha avuto la prima esecuzione il 22 dicembre 1808 al teatro An der Wien, sotto la direzione dell’autore. Nel programma del concerto l’opera era definita come «Sinfonia Pastorale, piuttosto espressione del sentimento che pittura», mentre ognuno dei cinque movimenti portava un’indicazione programmatica: «Piacevoli sentimenti che si destano nell’uomo all’arrivo in campagna – Scena al ruscello – Allegra riunione di campagnoli – Tuono e tempesta – Sentimenti di Benevolenza e ringraziamento alla Divinità dopo la tempesta»: l’opera si collega quindi al genere della musica a programma settecentesco nel momento stesso in cui supera, aprendo un nuovo capitolo nei rapporti fra musica e natura: l’interesse batte sull'”espressione del sentimento” piuttosto che sulla “pittura”, e la natura, pur protagonista assoluta dell’opera, entra in gioco in quanto vista e sentita dall’uomo, è il tempio di una religione della benevolenza che ha nell’uomo il suo centro.
L’Allegro ma non troppo d’apertura infrange la regola beethoveniana del contrasto tematico; nessuna opposizione fra primo o secondo tema o altri motivi ancora, ma una miracolosa unità di tono pur nel formicolare delle idee. Qui, e cosi pure nel secondo movimento (Andante molto mosso nello scorrevole ritmo di 6/8), molti modi pastorali derivano dalla tradizione arcadica e settecentesca, dall’opera italiana fino alle Stagioni di Haydn: ma Beethoven rifonde i luoghi comuni in una nuova espansione metrica, con frasi che superano i normali argini delle battute pensate a due o quattro per volta, con abbondanza di note tenute, con ripetizioni di disegni, la cui immobilità è accentuata da crescendi e diminuendi; sicché non resta più nulla del bozzettismo descrittivo (salvo la citazione precisa di quaglia, cuculo e usignolo alla fine del secondo movimento), e il vero argomento è la coscienza umana, sciolta dalla tirannide del tempo eroico o drammatico della forma-sonata. Il posto dello scherzo è occupato dalla “Allegra riunione” dei contadini, dove il linguaggio della classicità viennese gioca con la categoria del “popolare”; lo scherzo ha due trii in tempo binario, il primo (Allegro) è una rustica danza d’incontenibile vigore, il secondo (Allegro) è il quadro del temporale (unico impianto in tonalità minore, il fa, di tutta l’opera), ricco di elementi descrittivi come sforzati e scale cromatiche per denotare fulmini e sibilare del vento. Con una transizione d’indicibile fascino, l’acquetarsi della tempesta si collega all’ultimo movimento (Allegretto), dominato da una melodia (poi sottoposta a variazioni) impostata nel popolaresco ritmo di 6/8: qui ogni descrittivismo lascia il posto al tono di inno religioso, suggerito anche dall’armonizzazione di corale, che pervade tutto il brano anche nei momenti di più scoperta esultanza sonora.
Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Beethoven/Beethoven-Sinfonia6.html
********
L. van Beethoven (1770-1827) – Egmont, ouverture in fa minore, op. 84
per la tragedia di Johann Wolfgang von Goethe
London Philarmonic Orchestra
James Loughran, direttore
Un doppio impulso indusse Beethoven a comporre la musica di scena per «L’Egmont» di Goethe: la profonda e sconfinata ammirazione per il grande drammaturgo tedesco e la particolare consonanza con i suoi ideali del soggetto della tragedia, che esalta i sentimenti di libertà e di devozione alla patria, spinti fino ai sacrifizio supremo, incarnati nella vita e nelle gesta del conte di Egmont, campione della lotta dei Paesi Bassi contro l’oppressione tirannica degli spagnoli.
«L’Ouverture», — come asserisce G. Weber — è uno specchio magico che riflette i punti salienti della tragedia di Goethe; l’impeto che distingue il complesso dell’azione, la nobile grandezza dell’eroe, la tenerezza del suo amore, i lamenti di Chiarina (la fanciulla amata dall’eroe), la g loria e l’apoteosi dell’eroe che cade senza essere piegato.
«Se devo cadere — egli asserisce nella tragedia — che sia un colpo di tuono, un turbine a precipitarmi nell’abisso».
Come due altre famose consorelle (Coriolano e Leonora), l’Ouverture dell’«Egmont» è articolata in una struttura quintessenziale, netta nelle sue linee fondamentali e pervasa da una vitalità che dalla prima all’ultima nota avvince l’attenzione dell’uditorio.
L’avvio all’Ouverture è dato da una introduzione, «Sostenuto ma non troppo» che, in forma dualistica, tipica di Beethoven, oppone alle strappate implacabili degli archi i sospiri e lamenti polidirezionali dei fiati — specie dei legni — nei quali esalano il dolore e la disperazione delle vittime. Tali voci vaganti, come se volessero convergere in un blocco di resistenza ad una potenza avversa, gradualmente s’attraggono, s’aggrumano, si fondono, esplodendo nell’«Allegro» quasi a sfida contro la tirannide, ma i rudi accordi degli archi ritornano, riproponendo il tetro clima d’oppressione e la conseguente eliminazione dell’eroe ribelle.
La morte fisica dell’eroe, assertore gigante degli ideali di libertà non può, tuttavia, essere considerata sconfitta ed ecco risuonare, a conclusione della dinamica Ouverture, le fanfare di una trionfale apoteosi, rigate dalla striature fulminee degli ottavini.
Testo tratto da: https://www.flaminioonline.it/Guide/Beethoven/Beethoven-Egmont-ouverture.html