G. Verdi “I Vespri Siciliani” – Trama e Libretto

LA TRAMA

L’opera è ambientata a Palermo e dintorni nel 1282, e narra degli eroici tentativi dei siciliani per liberare l’isola dall’occupazione francese.
Tentativi che culminano nella rivolta con lo storico massacro, e nella scoperta che il governatore francese è il realtà padre del condottiero dei patrioti siciliani.

ATTO I

La scena iniziale ha luogo nella piazza principale di Palermo, fuori del palazzo del Governatore e delle caserme dei soldati francesi. Alcuni soldati francesi, fra i quali Roberto e Tebaldo, stanno bevendo e
cantando del proprio paese (A te, ciel natio), mentre i siciliani li osservano con risentimento e invocano la prossima vendetta.
Dalla caserma escono due ufficiali francesi, il Conte Vaudemont e de Bethune, quest’ultimo mette in guardia Roberto, il quale è innamorato e ubriaco, dalla gelosia dei mariti siciliani.
La duchessa Elena, vestita di lutto per la morte del giovane fratello Federico d’Austria, ucciso come ostaggio dai francesi, torna dalla preghiera; la sua bellezza desta l’ammirazione di tutti.
Roberto, inebriato, le ordina di cantare per i conquistatori e, con grande sorpresa generale, Elena acconsente. All’inizio sembra cantare del coraggio nel mare (Deh! tu calma, o Dio possente), ma poi conduce ad un’ardente cabaletta incitando la gente a riprendersi in mano il proprio destino. Durante il seguente pezzo d’insieme scoppiano dei disordini, che vengono soffocati soltanto dalla comparsa del Governatore Monforte sulla scala del suo palazzo. La folla si disperde, lasciando brevemente Elena con la sua damigella Ninetta e con Danieli, che assieme a Monforte intonano un riflessivo quartetto (D’ira fremo all’aspetto tremendo). Giunge Arrigo, il quale è stato assolto da poco dall’accusa di tradimento. Egli si affretta ad informare Elena, della quale è innamorato; Monforte, che per caso ha ascoltato le sue parole, afferma che Arrigo è stato liberato in seguito agli ordini suoi. Il Governatore manda via Elena e gli altri, quindi interroga Arrigo riguardo al suo nome e alla sua famiglia (qual è il tuo nome?). Arrigo risponde in modo ambiguo, e dichiara con rabbia il proprio odio verso Monforte, il quale tuttavia gli offre di lavorare per i francesi. Arrigo rifiuta sdegnato l’offerta e, quando Monforte lo avverte di non molestare Elena, Arrigo va a cercarla con aria di sfida.

ATTO II

Sulla spiaggia vicino a Palermo, Giovanni da Procida torna in segreto dall’esilio per riprendere il comando dei patrioti siciliani. Dopo aver salutato la sua terra con una famosa aria (O tu Palermo), egli esorta nella cabaletta i suoi sostenitori a liberare il loro paese. Quindi li congeda e saluta Elena e Arrigo, che hanno organizzato un incontro segreto. Una festa di fidanzamento quella sera stessa nella vicina cappella di Santa Rosalia potrà costituire il momento opportuno per una rivolta, e Arrigo offre il proprio aiuto per guidarla. Procida parte e nel duetto seguente (Quale, o prode, al tuo coraggio), Arrigo dichiara il suo amore per Elena e la sua decisione di vendicarne la morte del fratello. De Bethune reca ad Arrigo l’invito di Monforte al ballo del governatore (Cavalier, questo foglio); ma Arrigo rifiuta con sdegno e viene arrestato e condotto via, con grande costernazione di Elena. Procida torna e apprende da lei l’accaduto, mentre una dozzina di coppie di fidanzati (fra cui Ninetta e Danieli) insieme agli amici si riuniscono per la festa. Essi incominciano a ballare una tarantella, durante la quale arrivano Roberto, Tebaldo e altri soldati francesi, che ammirano le donne e incominciano a stringere amicizia. Procida li incoraggia volutamente, fino al punto che rapiscono alcune donne siciliane, sebbene Roberto ordini che Elena venga lasciata alle cure di Procida, in apparenza un amico. Dopo che le donne sono state trascinate via, Elena e Procida rimproverano Danieli e gli altri siciliani per non averle difese. Gli animi si scaldano ancor di più alla vista di un’imbarcazione che trasporta alcuni ufficiali francesi con le loro donne, fra le quali si trovano delle siciliane, tutti vestiti elegantemente che cantano una barcarola mentre si stanno recando al ballo di Palermo. I siciliani cantano della vendetta mentre Procida espone a loro il suo piano per uccidere Monforte al ballo e dare inizio alla rivolta.

ATTO III

Scena I

Nello studio di Monforte, dove il Governatore sta meditando su come ha abbandonato la madre di Arrigo; prima di morire essa gli ha inviato una lettera dal capezzale nella quale gli confida che il giovane era figlio suo (Sì, m’abboriva). De Bethune lo informa che è stato arrestato Arrigo; Monforte ordina ch’egli venga condotto davanti a lui e in un soliloquio canta del vuoto che prova nel cuore e del suo desiderio per l’affetto del figlio (In braccio alle dovizie). Entra Arrigo, che rimane interdetto all’apparente benevolenza del Governatore; nel duetto assai emotivo (Quando al mio sen) egli si rende conto che Monforte è suo genitore, il padre che non aveva mai conosciuto. Barcollante al pensiero di tutte le implicazioni di questo fatto, compresa la perdita di Elena, Arrigo respinge l’affetto paterno e si precipita fuori, chiedendo alla madre in cielo di pregare per lui.

Scena II

In una magnifica sala del palazzo sono radunati gli ospiti, alcuni di essi mascherati, fra i quali sono presenti Elena, Arrigo e Procida. Entra Monforte e, prendendo il posto d’onore, dà inizio ai festeggiamenti. Si inizia con il balletto delle quattro stagioni: dopo un ingresso cerimonioso il dio Giano presenta l’anno nuovo con le sfavillanti danze dell’inverno, la primavera fragrante, la pigra estate e il baccanale d’autunno. Dopo un breve coro di lode per i ballerini, Arrigo si trova solo con Elena e Procida; ambedue sono mascherati e indossano il nastro di riconoscimento portato da tutti i cospiratori. In un ampio finale, Elena informa Arrigo dell’imminente attentato e, con crescente costernazione di quest’ultimo, gli consegna un nastro da cospiratore. Appena ritorna Monforte, Arrigo cerca di avvertirlo; quando Elena si appresta a sferrare il primo colpo di pugnale, Arrigo si frappone fra i due. Monforte chiama i soldati francesi e ordina l’arresto di tutti coloro che portano il nastro rivelatore. Nel finale concertato Monforte desidera riconciliarsi con Arrigo, il quale viene denunciato con veemenza come traditore da tutti gli altri che cantano le lodi della patria.

ATTO IV

Nel cortile di una prigione appare Arrigo con un lasciapassare, per visitare i suoi amici di un tempo. Egli si dispera in un monologo recitativo e in un’aria (Giorno di pianto) prega affinché Elena lo perdoni. Al suo ingresso Elena dapprima lo respinge quale traditore, mentre Arrigo la supplica (Ah! Volgi il guardo); ma quando rivela di essere figlio di Monforte, i sentimenti di Elena si raddolciscono ed essa prova pietà per lui; il loro colloquio si trasforma in un duetto amoroso di pentimento. Entra in scena Procida con una scorta armata, e in un primo momento non comprende l’ordine di Monforte di iniziare i preparativi per una doppia esecuzione, né perché Arrigo chieda di morire con loro. Monforte esorta Arrigo a ricordarsi che è figlio suo e Procida rimane sconvolto, rendendosi conto del significato di queste parole. Egli teme che ormai la causa siciliana sia del tutto perduta, e le sue frasi di addio (Addio, mia patria amata) conducono a un quartetto con Elena, Arrigo e Monforte mentre in lontananza un coro di monaci canta il De profundis. Arrigo implora la pietà paterna, ma Monforte gli risponde che concederà la grazia ai prigionieri soltanto se egli lo chiamerà padre. Arrigo è indeciso; Elena e Procida dichiarano ardentemente che al disonore sia preferibile la morte; mentre il canto cresce di intensità, si intravede la camera di esecuzione; e quando Elena e Procida vengono condotti al patibolo, Monforte impedisce ad Arrigo di seguirli. Infine la volontà di Arrigo cede e il giovane grida tre volte ” O padre!“. Monforte mantiene la sua parola e ordina un’amnistia e il matrimonio del figlio con Elena per quella stessa sera. Fra il tripudio dei presenti, il fanatico Procida decide di usare quest’occasione per i propri fini.

ATTO V

Nei giardini del palazzo del Governatore, presso una cappella, gli ospiti festeggiano il felice evento.
Entra Elena vestita da sposa; quando riceve in regalo dei fiori, essa ringrazia con un’aria di coloratura in tempo di 3/4 (Mercé, dilette amiche) che viene descritta come una siciliana, ma che più precisamente sarebbe un bolero. Giunge Arrigo il quale canta con aria pensierosa, esprimendo le proprie speranze (La brezza aleggia) prima di unirsi a Elena in un breve duetto e poi andare in cerca del padre. Procida si avvicina ad Elena, spaventandola con il suo piano di usare il rintocco delle campane nuziali come segnale per la rivolta generale e il massacro dei francesi ignari. Quindi, insieme ad Arrigo essi cantano un trio sul destino che li attende (Sorte fatal!), ma Elena si rifiuta di procedere con le nozze. Sopraggiunge Monforte accompagnato da alcune dame e cavalieri. In una precipitosa conclusione egli mette da parte tutte le obiezioni di Elena e ne unisce la mano a quella di Arrigo (V’unisco, o nobil coppia!), ordinando che vengano suonate le campane. A tal segnale i siciliani armati accorrono sulla scena da tutte le parti gridando alla vendetta, e mentre cala il sipario si gettano su Monforte e i francesi.